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Bentornati con una nuova recensione! Sappiamo bene che la nascita di un figlio porta con sé un bagaglio di insicurezze e di dubbi, che spesso si cercano di colmare con una costante ricerca di nuove informazioni. Ciò è del tutto comprensibile, e anzi se in voi non ci fosse questo bisogno, noi oggi non saremmo qui. Il libro di cui vi parleremo però non è di certo un manuale di psicologia o di puericultura, perché come ormai saprete, Maia è fermamente convinta del fatto che per essere “bravi” genitori non servano regole e dettami, ma solo amore e fiducia, nelle proprie capacità e in quelle del bambino. Pensate che il titolo di questa lettura prende proprio spunto dalla prima pagina del famoso libro di Estivill “Fate la nanna”, in cui si commenta la mancanza di un “manuale di istruzioni” ad hoc per i figli, che però l’autore reputerebbe utile, poiché nessuno ci ha mai spiegato come “usarli”.

L’autrice Giuliana Mieli, laureata in Filosofia teoretica e in Psicologia clinica, dopo anni di esperienza nei reparti di Ostetricia e Ginecologia, al fianco delle coppie e dei professionisti che se ne prendono cura, con questo libro ha voluto porre l’attenzione sull’importanza della psicologia degli affetti, in un momento così cruciale come la nascita. Si rivolge infatti non solo ai genitori, ma anche ai professionisti sanitari e agli insegnanti che molto spesso non riconoscono quanto il bisogno affettivo debba essere ascoltato e colmato, al pari di un bisogno fisico. La risposta a questo bisogno è perciò una condizione biologica che non può essere elusa: “Esiste una declinazione naturale, biologica degli affetti, utile e necessaria per la sopravvivenza della specie”.

Appurato questo bisogno, la Mieli intraprende un vero e proprio viaggio alla scoperta degli affetti che si intersecano nella nascita e nella crescita di un essere umano, partendo proprio dalla sua origine. Le figure fondamentali per crescere bambini che non siano “denutriti affettivi” sono la madre e il padre, che trasmettono al figlio i loro codici affettivi, il materno e il paterno, che non appartengono per forza all’una e all’altro, ma sono propri di entrambi e “si integrano a proteggere e rendere possibile la vita”. La donna inizia a fare ciò in gravidanza, lasciando crescere dentro di sé la vita e rispondendo ai bisogni fisici ed affettivi del bambino, che già in utero è un soggetto “senziente”. Per farlo una madre deve permettersi di ritornare ad una dimensione infantile, compiendo quella che la Mieli (e non solo) definisce “regressione materna”. In tutto ciò il padre è il sostegno di questa regressione, facendosi garante della razionalità che rimane comunque necessaria per lo sviluppo del bambino. E questo suo ruolo verrà mantenuto e anzi ampliato dopo la nascita, in quanto sarà “il terzo che sostiene, permette e incoraggia la separazione e guida verso nuove mete affettive”.

L’autrice si concentra poi sul parto e riconosce a questa esperienza un valore inestimabile, leggiamo infatti che “Il processo naturale (del parto) insegna che il bambino va sospinto dolcemente per il sedere verso la vita, incoraggiandolo, per lasciarlo tornare indietro ritmicamente, quasi un riassaporare consolatorio il calore rassicurante del luogo noto che sta per lasciare” , ed è proprio così che un bambino dovrebbe procedere nelle nuove esperienze della vita, incoraggiato e supportato verso il nuovo dal “maschile” ma sicuro di poter ritornare a ciò che più gli è noto del “femminile”. Il dolore stesso del parto è un dolore fisico ed emotivo, perché rappresenta quella separazione fisica che tuttavia è necessaria per far sì che il bambino possa avere una sua vita individuale e concreta. Sempre citando la Mieli: “Madre è colei che contiene protettivamente, ma che inesorabilmente, con il proprio “maschile” -quella porzione di maschile di cui ormonalmente ed emotivamente è dotata-, spinge verso la vita, stacca da sé in un atto di generosa liberazione e donazione, rinunciando ad un possesso totale e perenne del bambino”.

Il viaggio continua attraverso il puerperio e l’allattamento, un periodo in cui il bambino “rinnova la simbiosi” con la madre in modo attivo, e lei glielo permette, sempre per introdurlo alla vita in modo graduale; lo stesso latte materno non è solo cibo e nutrimento, ma è “un’esperienza fisica di piacere e appagamento […] è tramite con l’amore materno […] Ogni poppata è un ritrovarsi”. Questo messaggio è fondamentale anche per i professionisti, che dovrebbero spiegare alle madri e alle coppie che il latte materno è importante, oltre che per i suoi incomparabili benefici “fisici”, soprattutto perché permette al bambino di ricevere affetto e di adattarsi gradualmente ad un mondo esterno in cui lui non ha ancora realizzato di vivere.  Il padre in tutto ciò, come abbiamo detto prima, è la figura garante di questo nuovo legame ma è anche colui che permette al bambino, quando sarà pronto, di staccarsi da questa simbiosi e di fare esperienza del mondo esterno, che visto attraverso gli occhi del padre, sarà fonte di interesse e curiosità. Il viaggio prosegue fino all’adolescenza, proprio per far comprendere che l’esperienza affettiva con i genitori è quella che plasma la nostra persona, la nostra identità.

Seguono poi due capitoli in cui viene fatto un excursus di teorie scientifiche e filosofiche, un approfondimento di culture, arti e scienze, a sostegno della necessità di una rivoluzione culturale che permetta il passaggio da una società volta a negare costantemente gli affetti, ad una società che riconosca questi affetti come fondamentali. A questo proposito scrive: “E’ necessario un cambiamento non solo per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale degli essere umani contemporanei.”

L’autrice conclude con un capitolo che riporta più nel concreto cosa si potrebbe fare per riconoscere la necessità degli affetti nella maternità. Rivolgendosi soprattutto ai professionisti, se si è in grado di comprendere e gestire la naturalità degli affetti, che durante gravidanza, parto e dopo parto naturalmente mutano, riemergono, si consolidano, si sarà sicuramente più abili nel conoscere le disfunzioni di questi affetti, andando così a prevenire e/o individuare precocemente molti disturbi psicologici.

Quindi no, non serve un libretto di istruzioni. Non serve per crescere un bambino, ma soprattutto è inutile di fronte alle nostre emozioni e ai nostri vissuti profondi. Questo libro piuttosto ci regala un nuovo modo di osservarci, dall’interno e dall’esterno, per capire cosa ci succede, in particolar modo in una sfera come la maternità. E vuole anche essere uno stimolo al cambiamento, che può avvenire solo se, ascoltandoci e regalandoci tempo e dedizione, riusciremo noi in primis a riconoscere l’importanza che le emozioni hanno nella nostra esistenza.

Ci scusiamo in anticipo per la quantità di citazioni, ma le nostre parole non sarebbero mai state così adatte. Immagino abbiate capito il valore che per noi ha questo libro, in primis come professioniste. Lo consigliamo? Assolutamente sì! Lo reputiamo una risorsa fondamentale per i nostri colleghi e per tutte le coppie che si approcciano alla maternità, perché un bambino non ha solo bisogno di cibo e di un tetto, ma di un legame indissolubile di amore.

 

A presto, Maia

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